Che il Gruppo Tiburzi avvertisse le perturbazioni con un certo anticipo, preavvisati dai diffusi reuma, ce ne eravamo già accorti! All’appuntamento ci siamo ritrovati in misura ridotta, forse anche giusta, per affrontare le insidie del pittoresco percorso che le Cascatelle del Sasso offrono nell’insieme, che più volte definimmo il bel salotto del bosco Cerite.
Per la verità la perturbazione conclamata per la giornata, dai più accreditati “bollettini meteo”, con nostro immenso piacere non si è affatto presentata in perfetto orario. Portando un ritardo di sette od otto ore, grazie a Dio, domenica notte si sono aperte le cateratte dal cielo, abbiamo schivato una bella doccia fredda!
L’escursione prende le mosse da una carreggiata in lieve falso piano, che ci ha portati dai “tre cancelli” luogo di partenza, fin sotto le pendici di Monte Tosto, luogo ricco di insediamenti etruschi.
Da quel punto si gode una spettacolare visione a 180° sul litorale di Pirgy ed Alsium. Probabilmente sopra questo insormontabile rilievo collinare, come tramanda la storia, vennero lapidati i 500 Focesi fatti prigionieri dagli etruschi nel conflitto navale di Alalia avanti il mare Sardonio. Correva allora l’anno 540 a.C. ed il popolo Rasenna, in lega con quello Cartaginese, aveva affrontato in battaglia i Focesi, popolazione di coloni greci, rei di aver insidiato i commerci etruschi nel mediterraneo. La lega etrusco/cartaginese disponeva di 120 navi del tipo fenicio (pentecontere), mentre i Focesi ne avevano appena 60.
Pentecontera - IMMAGINE TRATTA DA Wikipedia
L’esito della battaglia rimane ancora incerto, anzi, dal “partigiano” Erodoto apprendiamo che fu dato in favore dei Focesi che, comunque, seppur vittoriosi (vittoria Cadmea semmai!!!) vennero imprigionati e deportati in massa nei porti di Pirgy ed Alsium. Discutibile appare quindi stabilire quale popolo prevalse nel conflitto! Alcune navi greche uscite indenni dalla battaglia, per un forte vento di Ponente, finirono incagliate sugli scogli del mare Corso. Pochi superstiti si misero in salvo facendo rotta sud, alla volta di Reggio, gli altri, come sappiamo, furono catturati e deportati dai Ceretani. Come altre volte riferito, la nostra opinione è che la vittoria fu senz’altro della lega etrusco-cartaginese, anche se i Focesi con un’abile mossa, avevano anticipato il contingente Etrusco, prima che si unisse a quello Cartaginese, che inseguì fino avanti il mare Sardo. Ma questa forse fu solo strategia militare che spinse in acque nemiche le pentecontere Focesi, per poi stringerle entro una doppia morsa di mezzi navali.
Come noto i prigionieri Focesi furono barbaramente lapidati dai Ceretani ed i loro corpi accatastati, a sacrificio, vicino ad un luogo di culto sopra Monte Tosto (così tramanda la storia anche se noi crediamo che il luogo di lapidazione fu il Lido di Pirgy). A monito di altri malintenzionati, i 500 lapidati vennero lasciati marcire al sole, il cumulo di ossa così composto era immenso, visibile da lontano. La lapidazione dei prigionieri era frequente in antichità, la barbarie, se non causata da odio profondo, serviva a spaventare, a monito di eserciti nemici. Sappiamo pure che alcuni fatti inspiegabili vennero attribuiti all’eccidio in argomento, sventure, epidemie ed altro, cose che costrinsero i Ceretani a dare degna sepoltura ai 500 greci uccisi, istituendo giochi ludici equestri associati a sacrifici animali come suggerito dalla “Pizia” dell’Oracolo di Delfi.
Quando si parla del popolo etrusco, si riporta ciò che greci e romani hanno scritto di loro. Ed oltre alle critiche rivolte alle donne “Rasenna”, ritenute libertine, perché al tavolo sedevano accanto agli uomini non disdegnando il vino …, non si può fare a meno di menzionare l’empietà e crudeltà con cui è ricordato Mezenzio, tiranno di Caere. Questo personaggio noto per il cosidetto “supplizio di Mezenzio” che consisteva nel legare, faccia a faccia, un prigioniero vivo con un morto, per lasciarli decomporre insieme. Queste ed altre cose ancora potrebbero risultare dicerie, addebiti completamente “gratuiti”, attribuiti ad un popolo che ormai non poteva più difendersi né giustificarsi.
A fianco di Montetosto, con i suoi 560 mt. S.l. del mare si erge Monte Santo, oggi presente con il suo acrocoro imbiancato da nubi. Il toponimo potrebbe rivelare qualche nesso con l’eccidio dei prigionieri Focesi, sarà, per questo, oggetto di una prossima ricognizione del Gruppo.
Ora noi, per raggiungere le “cascatelle”, intercettiamo un sentiero che ci porta diritti entro una forra pronunciata, creata nei millenni da un trascurabile corso d’acqua tra i due rilievi anzidetti. Una imbarazzante falesia cala giù dall’alto di Monte Santo, molto insidiosa perché nascosta dalla vegetazione ed inopinabile per chi si trovasse a scendere dalla cima dell’altura in quella direzione.
Il bel sentiero ci riserva l’immagine di querce imponenti e secolari. Sono senz’altro cerri, ciò é deducibile dalla loro dimensione, poi dopo un lungo cammino serpeggiante entriamo nel fitto di un bosco lussureggiante dagli accesi colori autunnali, per giungere sotto la prima cascata.
Dopo le foto di rito riprendiamo risalendo un tratto scosceso per raggiungere la seconda cascatella.
Ripartiamo poi seguendo il sentiero sul bordo del torrente. La difficoltà oggi è data dalla presenza di fogliame umido su un fondo di spunzoni di roccia (porfido), posti a taglio per aver subito sconvolgimenti tettonici, ma lo spettacolo e le difficoltà di tratti impegnativi affascinano i Trekker, soprattutto per i frequenti guadi di scelta. Affrontiamo risalite impervie su terreni alluvionali per aggirare enormi invasi naturali, creati dalla caduta di secolari piante, che hanno sbarrato il corso del torrente. Ma l’ultimo tratto dell’escursione ci riserva un’amara sorpresa! Alcuni sentieri ripariali sono sotto il livello delle acque dei bottegoni, altri scomparsi per la furia di qualche pazzo e balzano alluvione. In un batter baleno un’enorme bomba d’acqua deve aver spazzato via, verso il mare, tutto ciò che ha incontrato avanti a sé, e con una furia inaudita.
Sono queste le conseguenze che il nostro Paese sta subendo da un po’ di tempo in qua, per non aver perseguito una opportuna ed intelligente politica “territoriale”. Aver distrutto il giusto equilibrio idrogeologico delle nostre campagne, aver favorito il taglio indiscriminato della macchia mediterranea a favore di un’agricoltura che via via norme comunitarie hanno ridimensionato, ha comportato un po’ ovunque frane e smottamenti, talvolta deleteri per cose ed uomini. Poi, fatto più grave di alcuni Comuni, è l’aver autorizzato la costruzione di abitazioni sulle sponde dei corsi d’acqua ed in alcuni casi anche sopra di essi. E come si fa a pensare alla buona fede!
Giunti quasi in prossimità delle ultime cascatelle il sentiero si chiude, ora siamo costretti a risalire l’ala di un’impervia e franosa forra che per nostra fortuna ha tenuto, portandoci fuori ad incrociare una “cessa” tagliafuoco. Ma per raggiungere i salti d’acqua è troppo tardi ed incerto il sentiero di ritorno. Per cui l’opportunità é ritrarre il cammino finché, sopraggiunti sopra una “carbonara”, dopo aver guadagnato parte degli argini più abbordabili, ridiscendiamo sul torrente. Così ci ricongiungiamo al gruppetto che (s)fortunatamente aveva rinunciato alla passeggiata per rimanere a godersi il lento scorrere delle acque della prima cascata. Ma prima di chiudere il discorso, riteniamo opportuno pubblicare una foto dell’ultima cascatella, per mostrare ciò che non si è potuto vsitare, nella certezza che possa suscitare quelle vibrazioni da noi avvertite ben tre anni fa, quando giungemmo sul posto.